È un termine di non facile definizione poiché ricco di molteplici implicazioni. Semplicisticamente potremmo dire che consiste nell’utilizzare la figura del clown e della clownerie per alleviare situazioni di difficoltà attraverso la comicità e il riso.

L’origine della clownterapia moderna si deve al dottor Hunter Patch Adams. Negli anni ’70 egli iniziò a formulare una teoria sulla felicità partendo dall’esperienza negativa che lo aveva visto protagonista quando era ancora un adolescente: egli, infatti, fu ricoverato in una clinica a causa di una forte depressione che lo stava conducendo lentamente al suicidio. Dopo essersi iscritto alla Facoltà di Medicina, intraprese degli studi su un campione di pazienti ricoverati in ospedale. Da sempre convinto che risata e sorriso portassero enormi benefici, Adams iniziò a visitare i suoi pazienti travestito da clown. Passo dopo passo il suo sogno prendeva forma: realizzare una casa-ospedale dove curare i pazienti con terapie alternative a quelle tradizionali, basate sulla ricerca del benessere. Nel 1983 Adams, con la collaborazione di alcuni amici, riuscì finalmente a realizzare il Gensundheit Institute – Istituto della Salute- nelle montagne del West Virginia: in questa struttura il rapporto tra pazienti e dottori si basa sulla fiducia reciproca e buon umore, mentre gioia e creatività sono divenute prescrizioni essenziali delle sue cure.

Clownterapia
Nel 1998 la vicenda di Patch Adams divenne un film di grande successo, e contribuì a far conoscere al grande pubblico la clown terapia e i suoi potenziali campi di applicazione, primo fra tutti i reparti di degenza ospedaliera.
I tempi erano probabilmente maturi ad accogliere discorsi che solo qualche decennio prima avrebbero scandalizzato: un medico, un infermiere che si lasciano andare a giocare con i malati, si travestano da pagliacci dissacrando gli strumenti del sapere, non sarebbero stati accettati da nessuno; ora invece è un dato acquisito che non si può curare solo un corpo ma la persona nella sua interezza, e che aprire l’ospedale ad una dimensione ludica che attenui il senso di estraneità e di oppressione rendendo i reparti più vivibili, sia ormai quasi una parola d’ordine. Ed è così che la clown terapia si è diffusa in molte cliniche ed ospedali di diversi paesi del mondo: in Italia, i primi clown-medici risalgono agli anni ’90.

Ragioni scientifiche degli effetti benefici della risata
La gelotologia [dal greco gelos= riso e logos= scienza] è una disciplina che studia in modo metodico la risata, il buon umore e il pensiero positivo rispetto alle loro potenzialità terapeutiche. Questa scienza costituisce un ponte tra la biologia, la psicologia, l’antropologia, la medicina. In effetti la risata e il sorriso se vengono studiati da una sola di queste prospettive trascurando le altre, risultano incompleti. Ridere attiva tutte le parti del corpo umano: il cuore e la respirazione accelerano i loro ritmi, la pressione arteriosa diminuisce e i muscoli si rilassano. Anche la chimica del sangue si modifica, in quanto, tanto più la risata è esplosiva e spontanea, tanto più diminuisce la tensione e si manifesta una sensazione di liberazione che coinvolge tutti gli organi e le funzioni corporee. Tutto questo perchè ridere stimola la produzione di beta-endorfine da parte delle ghiandole surrenali che producono cortisolo, un ormone che regola la risposta allo stress (medicina). La loro peculiarità sta nella capacità di regolare l’umore. Esse vengono rilasciate in situazioni stressanti come forma di difesa, in modo da poter sopportare meglio il dolore, fisico o psicologico. Ormai provato che il buon umore e la fiducia rafforzano l’organismo aumentando le difese immunitarie, mentre stati depressivi favoriscono l’insorgere di malattie.
Dopo la famosa esperienza di Norman Cousin (1989), che guarì dalla spondilite anchilosanteî curandosi per un anno con  tre o quattro ore al giorno di film comici, e assumendo quotidianamente per flebo 25 grammi di vitamina C, si sono moltiplicatele ricerche sugli effetti della risata e dell’umorismo. In America esiste persino una scuola della risata, in cui si insegna alla gente a ridere anche se non ne ha voglia. Un recente studio canadese, ha scientificamente confermato che il buon umore difende dalle infezioni, determinando una minor riduzione dell’immunoglobulina A.
Benché non sia provato in modo chiaro e definitivo che il divertimento e il riso siano davvero così taumaturgici, essi possono contribuire a migliorare il clima emotivo e le relazioni interpersonali.

Il clown-dottore
Il ruolo del Clown Dottore può essere svolto da un operatore socio-sanitario professionale che applica le conoscenze della Gelotologia e della Psiconeuroendocrinoimmunologia nei contesti di disagio, ma anche più semplicemente da volontari o da membri del personale medico. Il mestiere di un clown in Ospedale è in un  certo senso più difficile che in un circo o per strada, perché accanto al mestiere di attore, di acrobata e di giocoliere, è necessaria una competenza psicologica, la messa a punto di tecniche che possano essere trasmesse ed insegnate per evitare pericolose improvvisazioni. La figura del clown dottore è un esempio molto chiaro di come il prendersi cura con dolcezza e sensibilità, l’essere allegri e positivi anche di fronte a situazioni di sofferenza, aiuti non solo il bambino ricoverato a stare meglio e ad affrontare meglio il suo disagio, ma anche i genitori e tutto l’ambiente che opera e lavora in ospedale. Il Clown in questi contesti ridisegna l’architettura, proponendo attraverso la sua capacità di trasformare, attraverso giochi magici, racconti strampalati e fantastici, una visione diversa e più accettabile dei prelievi di sangue e delle risonanze magnetiche. Il clown è un poeta, un visionario, veicola sogni e apre porte dimenticate verso la fantasia e la bellezza delle cose semplici, che possiamo scoprire anche stando sdraiati in un letto d’ospedale (G. Sanguigno, da “Un gioco molto antico”, 2001).  Il clown trasforma il reparto o la camera d’ospedale – cornici fredde e distaccate dove vivono i pazienti – in un ambiente magico, in cui la risata si fa strumento di gioia e sicurezza, incoraggiando al dialogo, quale forma essenziale di interazione e legami. Inoltre prova a stabilire con gli spettatori un rapporto umano di fiducia e confidenza, capace di far dimenticar la quotidianità della vita ospedaliera, a profitto della fantasia e dell’immaginazione. L’importanza di questa figura non si esaurisce nella figura del paziente, bensì si estende a tutta la sua famiglia, proprio perchè i miglioramenti del malato vengono vissuti e condivisi anche da coloro che lo circondano con amore e affetto. I Clown Dottori, con il loro camice per così dire trasgressivo, effettuano in genere un giro di visite nelle stanze, instaurando con i pazienti un rapporto diretto o, come si suol dire, faccia a faccia. Nel loro intento è sempre presente trovare una “metafora terapeutica” che permetta un cambiamento delle emozioni negative in positive. Ogni intervento è, perciò, personalizzato, adattato ogni volta al target con il quale ci si vuole relazionare.

Perché proprio il clown
Viene da chiedersi perché proprio la figura del clown abbia avuto tanto successo in ospedale, luogo così distante dal circo e dal suo sfavillio. Forse è perché il gioco del pagliaccio è sempre in bilico fra la tristezza e la gioia, fra il pianto e il riso, perché la sua è un’ironia bonaria e perdente, un po’ malata di malinconia. Il mestiere del pagliaccio è quello di far ridere ma anche, probabilmente, quello di piangere con chi piange, di essere piccolo e solo con chi è piccolo e solo. Questo, probabilmente, ha permesso ai clown di avvicinarsi con discrezione alla realtà della malattia, senza essere invasivi e senza pretendere a tutti i costi una risata. Il clown di corsia può avere ruoli diversi ma in genere è un dottore grottesco che scimmiotta i veri medici, parodiandone i gesti e gli strumenti. Spesso affianca gli stessi medici durante líintervento sul malato. Può fingere di fare un’iniezione allo stesso medico con una siringa enorme o ridere con il bambino per distrarlo durante una visita, o trasformare le medicine in pozioni miracolose usando una bacchetta magica. (A. Farneti da “La maschera più piccola del mondo”, 2004).

Contesti operativi
Il contesto operativo del Clown Dottore non si limita solamente alla pediatria. Gli studi della gelotologia hanno infatti provato che l’utilizzo della comicità e della metafora terapeutica può essere utilizzata anche con target non pediatrici (adulti, anziani, diversabilità) e in differenti contesti (disagio sociale e scolastico).
È il caso di ricordare in tal senso la vicenda di Miloud Oukili, divenuto simbolo di pace e di dedizione agli altri, capace di fare della clownerie una missione umanitaria e di aver fornito un esempio efficace del potere del naso rosso. Miloud è un vero clown, con una profonda formazione artistica. Nel 1992 si reca in Romania dove lavora per l’associazione “Handicap International” come animatore in ospedali, orfanotrofi e centri per disabili. Trovandosi a lavorare per strada, nella Bucarest del dopo Ceausescu, conosce la realtà dei bambini di strada che per sopravvivere trovano riparo nelle fogne della città. La sua risposta è quasi immediata: non li abbandonerà più. Scenderà con loro nel sottosuolo, cercherà di riportali alla dignità di uomini, lotterà con ogni forza per costruire strutture adatte alla loro riabilitazione. Nasce la Fondazione Parada. Una sessantina di ragazzi lo seguirà nel mestiere di clown per diventare la sua compagnia di girovaghi per le strade del mondo. Gli spettacoli e i fondi raccolti servono per aiutare i meno fortunati che ancora vivono nei tombini di Bucarest, succhiando colla e spacciando droga. L’associazione italiana COOPI, sostiene dal 1998 la Fondazione Parada, organizzando raccolte di fondi e spettacoli (A. Farneti, da “La maschera più piccola del mondo”, 2004). Nel 2008 la storia di Miloud è divenuta anche un film, “Parada”, diretto dal regista italiano Marco Pontecorvo.
Molte esperienze sono nate in Italia e all’estero sulla scia della clownerie come efficace mezzo educativo. Basti ricordare quella dei Barabbaís Clown del centro salesiano di Arese, nati nel 1979 dal lavoro del clown Bano, che ha creduto nella forza del clowning per fare uscire i ragazzi dall’isolamento, per creare relazioni nuove, per far loro scoprire che possedevano qualcosa di bello, di sano, per dimostrare ai cittadini per bene che anche in un “barabitt” c’è qualcosa di buono: basta valorizzarlo. (M.Giuggioli, da “Capriole fra le stelle” 2001).
Grandi e piccoli clown dunque, capaci di trasformare attraverso la clownterapia identità imperfette, di ridare speranza e di ricostruire l’autostima e il sorriso perduti.